Dal punto di vista legale non è corretto. Eventuali danni causati da minori o da persone incapaci di intendere vanno risarciti da chi in quel momento era incaricato della sua sorveglianza. Codice Civile artt. 2047 e 2048. In questo caso ne risponde la scuola, che dovrebbe essere assicurata, a meno che non imputi a un insegnante specifico un grave difetto di sorveglianza, e allora si può rivalere su di lui.
Le scuole spesso applicano, in accordo con le famiglie, un principio di responsabilità indiretta, a scopo educativo, e chiedono alle famiglie di risarcire i danni di questo tipo. È una forma di punizione/ responsabilizzazione che serve a far sì che i bambini o ragazzi comprendano gli effetti del loro comportamento e possibilmente non lo ripetano più. Quasi tutti i regolamenti di istituto e i patti educativi di corresponsabilità scuola-famiglia applicano principi di questo tipo.
È certamente lecito chiedersi fino a che punto si può applicare questa regola (che, come detto, si basa su principi educativi, non giuridici) anche a un alunno con disabilità cognitiva, tanto più se egli non è in grado di comprendere il rapporto tra quello che ha fatto e il risarcimento e quindi l’efficacia educativa di questa punizione sarebbe pari a zero.
L’applicazione rigida di questa norma anche in caso di disabilità grave farebbe ricadere la colpa sui genitori, che nulla potevano fare per impedire il fatto neppure a livello preventivo/educativo, esonerando da ogni responsabilità la scuola che ha tenuta alla vigilanza. Se il danno è consistente è molto più corretto presentare la denuncia all’assicurazione e chiedere a loro il risarcimento; se si tratta di cifre esigue può benissimo finire tutto lì.
Ben diversa è la situazione se l’alunno è in grado di capire quello che ha fatto, tanto più se si avverte il rischio che possa pensare di godere di una sostanziale impunità e fare in futuro quello che vuole.